Bergson

Bergson

La filosofia di Bergson può essere compresa e apprezzata solamente partendo dal contesto filosofico in cui si colloca: il porsi come una tra le reazioni più celebri e meglio riuscite all’imperante positivismo. Dinanzi ad una concezione della realtà rigidamente spiegabile attraverso leggi meccaniche e conoscibile solo attraverso il metodo scientifico, Bergson si domanda quale sia la specificità della filosofia e, soprattutto, che posto rivestano le scelte, i valori etici, religiosi e artistici dell’uomo.
 Il filosofo rifiuta di considerali alla stregua dei fatti naturali, così come rifiuta l’idea che l’unica forma di conoscenza della realtà sia quella scientifica. Che cos’ha l’uomo di irridibile e non assimilabile al resto della natura? Che ruolo riveste la filosofia? Che tipo di conoscenza esiste oltre a quella basata sui “fatti”? Sono questi gli interrogativi a cui cercherà di rispondere il filosofo.

Ci basti sapere sin da subito che Bergson viene considerato il più grande rappresentante dello spiritualismo francese. Tale corrente filosofica, infatti:

invita a concentrarsi sulla interiorità degli individui, sullo “spirito”, sulla coscienza: una realtà diversa e non assimilabile a quella dominata dallo studio dei fatti naturali;

riconosce alla filosofia il peculiare compito di indagare tale realtà, differenziandosi dal metodo e dall’oggetto propri della scienza.

La polemica di Bergson contro la totale riduzione della realtà alla visione scientifica è ben espressa nel suo contributo più originale: la concezione del tempo. Per il filosofo, il limite proprio della scienza è considerare il tempo come qualcosa di:
- “spazializzato”: ovvero come una successione di momenti distanti l’uno dall’altro, misurabili, tutti uguali;
- reversibile: ovvero come qualcosa che si può ripresentare uguale a se stesso (per esempio negli esperimenti scientifici).

Chiarito il nostro modo di intendere il fluire della vita, Bergson quindi può spiegare come ogni nostra azione spirituale (decisione, pensiero) non può in alcun modo essere ridotta ad una pura concomitanza di cause necessarie ed esterne (il sopraggiungere di qualcosa che ci fa arrabbiare ad esempio). Al contrario, quello che siamo, pensiamo e facciamo è ciò che ci caratterizza e che dipende dal nostro passato, dal presente e da come immaginiamo il nostro futuro.

L’uomo, a differenza dei fenomeni naturali, nella sua vita spirituale è libero di determinarsi da sé. Tale impostazione è evidente anche nella differenza che Bergson rintraccia tra memoria, ricordo e percezione.
Mentre la memoria, infatti, è la conservazione integrale del nostro passato ad un livello inconscio, il ricordo è un’immagine con cui il nostro cervello recupera una parte della nostra memoria in vista dell’azione. La memoria pura, infatti, è tutto il nostro passato di cui potenzialmente noi potremmo sempre usufruire; ciononostante il ricordo ne rappresenta solo una piccola parte, sottratta all’oblio dal nostro cervello, e trasformata in un’immagine.
La percezione è quella facoltà che ci permette di selezionare i dati che traiamo dal mondo esterno (e che ci sono più utili) e che, spesso, ci dà la possibilità di far affiorare un ricordo (ad esempio: un odore, una sensazione percepita ci rimandano ad un ricordo del passato).

Commenti